Più che la conoscenza delle leggi o l’addestramento ad un’abile applicazione di determinate procedure, ciò che conta nel percorso formativo dello studente di giurisprudenza è l’acquisizione di un metodo che gli consenta di “pensare da giurista” e di “argomentare da giurista” (Cfr. F. Schauer, Thinking like a lawyer, Cambridge, 2009).
Nel presente anno, l’insegnamento di Storia del diritto contemporaneo prosegue lo sviluppo della riflessione sul ragionamento giuridico, condotta attraverso lo studio di aree determinate dello specifico sapere proprio dei giuristi secondo il paradigma di indagine storica caratteristico della disciplina. “Al giurista infatti è indispensabile una duplice inclinazione: quella storica, per cogliere ciò che è proprio di ogni epoca, e quella sistematica, per osservare ogni concetto ed ogni massima, nel suo vivo legame e nell’azione reciproca con il tutto” (M. Bretone).
Nella prospettiva così delineata e secondo le caratteristiche proprie di un corso progredito, anche nel presente anno accademico verrà volta l’attenzione al bagaglio terminologico del giurista, sottostante al suo operare.
Quest’anno, peraltro, il corso il tema si presenta come un apparentemente un ossimoro: diritto e rivoluzione infatti appaiono termini tra loro contradditori, apparendoci la rivoluzione un momento di assenza di diritto piuttosto che un’esperienza che si pone in relazione persistente con il diritto. Aiuta ad assumere un’altra prospettiva critica l’affermazione di un’esponente di spicco della rivoluzione francese, Louis Antoine Léon de Saint Just (1767-1794). Costui, in un’opera del 1791, L’esprit de la révolution et de la constitution de la France, affermava: «Les révolutions sont moins un accident des armes qu'un accident des lois» (Le rivoluzioni sono meno un evento armi che un evento di leggi).
Un inquadramento generale del tema consente di individuare preliminarmente «due termini che intervengono nella definizione del vocabolo ‘rivoluzione’, ossia movimento (breve, violento, dal basso, inteso come azione collettiva), ciò che interessa soprattutto il sociologo; e mutamento (rottura radicale tra un ordinamento e l’altro), che assume una valenza giuridica nella misura in cui ci si preoccupa di trovarne il fondamento di legittimità» (Rossella Cancila). Lo storico del diritto è orientato perciò a guardare alla relazione diritto – rivoluzione con l’assunzione di una prospettiva in grado di cogliere nella rivoluzione un fenomeno orientato a produrre un ribaltamento radicale nell’architettura del potere e delle sue forme di esercizio; un fenomeno, dunque, destinato a realizzare una legittimità nuova a capace di sostituirsi a quella precedente gli eventi rivoluzionari, e perciò ad incidere in modo radicale sulla configurazione della costituzione politica di un paese. Essa opera un rinnovamento in profondo dei termini la cui definizione sta alla base dell’organizzazione di una società: sovranità, popolo, suddito, potere, corpi intermedi, ecc.