Alla cultura dell’espansione edilizia e delle demolizioni di comparti obsoleti della città contemporanea, si contrappone oggi un ripensamento sul grado di resilienza dell’ambiente costruito, in cui i protocolli rigenerativi multi-scalari e multi-disciplinari occupano un posto di primo piano per l’innesco di processi circolari di sviluppo. L’innovazione tecnologica in campo edilizio è attualmente orientata prevalentemente, ma non solo, all’efficienza energetica e alla domotica dei manufatti e di ampie porzioni urbane attraverso un rinnovato rapporto tra Architettura e Tecnica. La riscoperta degli imprescindibili valori della Costruzione (la lingua madre dell’Architettura per Auguste Perret) con accezioni e conoscenze ampliate rispetto al passato può (e deve) sperabilmente aumentare il grado di resilienza dell’ambiente costruito attraverso comportamenti adattivi e responsivi degli edifici, delle reti infrastrutturali e degli spazi aperti.
Molteplici sono le discipline oggi coinvolte nelle operazioni di “ricomposizione” dell’ambiente costruito e non solo quelle vicine all’architettura come l’urbanistica, l’ingegneria, la tecnologia, la fisica tecnica, il disegno industriale, ecc. Le forze in gioco aprono necessariamente nuovi orizzonti disciplinari coinvolgendo le scienze sociali, l’economia, l’antropologia – e finanche la filosofia e l’arte – utili per comprendere la città contemporanea e le nuove domande di spazi da abitare. I gradi di complessità sono legati ai fenomeni di gentrificazione e glocalizzazione estremamente più articolati rispetto al passato. Le cosiddette “scienze morbide” forniscono agli architetti gli strumenti sia per meglio comprendere i bisogni, i desideri, le paure e gli ideali di vita dei destinatari dei progetti, sia per ancorare meglio questi ultimi alla realtà contingente e alle sue problematiche. L’Architettura si trova di fronte ad un arduo compito di “ri”-definizione, secondo l’accezione di Serge Latouche, riscoprendo, in “primis”, il proprio ruolo sociale. Gran parte dei temi di ricerca e dei progetti esposti alla 15° Biennale di Architettura di Venezia dal titolo “Reporting from the front” a cura di Alejandro Aravena, sono testimoni di come questo processo sia già in atto attraverso il “cambio del punto di osservazione” sulla città e i suoi abitanti da parte dei progettisti, con lo scopo di migliorare la qualità della vita anche quando le circostanze sono difficili guardando, di fatto, una realtà critica in chiave propositiva. Oggi più che mai è necessario «amare l’architettura» come ammoniva Giò Ponti, uno dei più impegnati assertori della riforma disciplinare contro il propagarsi dell’”International Style” nel secondo dopoguerra, in quanto «l’architettura come professione deve servire la società futura sul piano funzionale, tecnico, produttivo, economico: deve servire la felicità e le esigenze degli uomini sul piano della loro vita – aria, sole, salute, assistenza, lavoro; deve nutrire l’intelletto degli uomini sul piano dell’intelligenza e dello stile – unità, ordine, essenzialità; come arte deve nutrire l’anima degli uomini e i loro sogni sul piano dell’incanto – immaginazione, magicità, fantasia, poesia.»
Ma non ci si può fermare a questo in quanto l’architettura (o per meglio dire l’espansione edilizia incondizionata), come opera dell’agire umano, ha prodotto impatti devastanti sulla terra. Appare necessario, data l’impossibilità conclamata di lavorare su territori a tabula rasa, determinare principi architettonici “ricompositivi” capaci di trasformare le criticità presenti in positività per la città e le comunità “glocali”, in grado di fatto, di aumentare il grado di resilienza dell’ambiente costruito.
Voci come “riciclaggio”, “riuso”, “riqualificazione”, “rigenerazione”, entrate a pieno titolo nel lessico architettonico contemporaneo, oggi acquisiscono una dimensione etica e al tempo stesso estetica in grado di sancire il valore dell’oggetto edilizio attraverso operazioni di “ready-made” dell’esistente. Simile atteggiamento progettuale implica molto spesso una ridefinizione, anche completa, della dimensione qualitativa degli spazi e delle tecnologiche esistenti, prediligendo soluzione flessibili e utilizzo di sistemi costruttivi reversibili e/o implementabili.
Il presupposto cardine per individuare principi “ricompositivi” appare quello di considerare un “secondo tempo” della vita dell’ambiente costruito partendo da quei piccoli frammenti decomposti in cui sussistono, ancora, caratteristiche positive di urbanità. È il momento della modificazione, dall’adattamento per rispondere a urti e sollecitazioni difficilmente prevedibili nelle attuali condizioni socio-economiche che, innegabilmente, influenzano le scelte dei progettisti. Per ricomporre gli habitat urbani contemporanei, sfrangiati, logorati, malandati appare necessario applicare strumenti progettuali che, metaforicamente, riprendono “l’arte di abbracciare il danno” il Kintsugi, la sapiente tecnica giapponese della riparazione della ceramica grazie a saldature con materiali preziosi. Rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura dell’oggetto, diventando ancora più pregiata. Grazie alle sue cicatrici.
L’imperfezione diventa parte della storia dell’oggetto. L'arte del Kintsugi trasforma crepe e scheggiature in decorazioni uniche. Perché la fragilità è preziosa. E in ogni traccia del tempo c’è una storia da raccontare.
------
Il Corso ha durata annuale e sarà suddiviso in tre periodi didattici principali nei quali verranno affrontante diverse scale d’intervento per la ricomposizione architettonica e urbana dell’ambiente costruito. Si precisa inoltre che si ritiene opportuno agganciare l’insegnamento universitario di architettura a temi e contesti reali, a esigenze concrete della società per trasformare così un progetto di didattica e di ricerca in una sperimentazione in “corpore vili”. Questo poiché, a nostro avviso, il progetto didattico deve affondare sì le proprie radici in fondamenti teorici dai quali non può comunque prescindere dal confronto con richieste reali, per misurarsi con temi effettuali che richiedono un tempestivo intervento.